Buongiorno Lettori!
Oggi non ci sarà una recensione ma voglio parlare un po’ di un libro che probabilmente non ha bisogno di parole o presentazioni. Oggi 27 gennaio, per non dimenticare mai, né oggi, né domani, parleremo di La memoria rende liberi di Liliana Segre, con l’introduzione scritta da Enrico Mentana.
La memoria rende liberi
Liliana Segre – Enrico Mentana
Rizzoli
Prezzo: 12.00 €
eBook: 6.99 €
Trama: “Un conto è guardare e un conto è vedere, e io per troppi anni ho guardato senza voler vedere.” Liliana ha otto anni quando, nel 1938, le leggi razziali fasciste si abbattono con violenza su di lei e sulla sua famiglia. Discriminata come “alunna di razza ebraica”, viene espulsa da scuola e a poco a poco il suo mondo si sgretola: diventa “invisibile” agli occhi delle sue amiche, è costretta a nascondersi e a fuggire fino al drammatico arresto sul confine svizzero che aprirà a lei e al suo papà i cancelli di Auschwitz. Dal lager ritornerà sola, ragazzina orfana tra le macerie di una Milano appena uscita dalla guerra, in un Paese che non ha nessuna voglia di ricordare il recente passato né di ascoltarla. Dopo trent’anni di silenzio, una drammatica depressione la costringe a fare i conti con la sua storia e la sua identità ebraica a lungo rimossa. “Scegliere di raccontare è stato come accogliere nella mia vita la delusione che avevo cercato di dimenticare di quella bambina di otto anni espulsa dal suo mondo. E con lei il mio essere ebrea”. Enrico Mentana raccoglie le memorie di una testimone d’eccezione in un libro crudo e commovente, ripercorrendo la sua infanzia, il rapporto con l’adorato papà Alberto, le persecuzioni razziali, il lager, la vita libera e la gioia ritrovata grazie all’amore del marito Alfredo e ai tre figli.
Non volevo essere l’unica a salvarsi, non mi interessava lasciare la mia famiglia e la mia casa per incorrere un’ipotetica libertà. Io volevo restare lì dov’ero, vicino a chi amavo, vicino a chi mi amava, e ritrovare lì – fra quelle mura, fra quelle persone – la serenità che ci avevano rubato.
Alcuni libri necessitano di poche parole perché andrebbero letti e basta. Assimilati. Fatti nostri per evitare di dimenticare una delle pagine più buie del ‘900.
I testimoni, i sopravvissuti piano piano ci stanno lasciando e la loro testimonianza è sempre più preziosa perché dobbiamo custodirla, per tramandarla negli anni, per evitare che succeda quello che Liliana teme:
“Tra qualche anno ci sarà una riga sul libro di storia e che poi non ci sarà più neanche quella”
Conosco la storia di Liliana Segre, una donna che era solo una bambina quando la sua vita è cambiata drasticamente, ma ho voluto leggere La memoria rende liberi per cercare di capire non solo l’esperienza devastante del campo e della marcia della morte, ma anche il prima e il dopo.
Nelle parole di Liliana Segre si avverte il crescendo del dramma ma anche l’amore per la sua famiglia, l’attaccamento a quel padre che soffre profondamente per la tragedia che si avvicina, che si dispera, che ci prova a trovare una soluzione e che a volte si sente impotente.
La notte aprivo gli occhi e lo trovavo inginocchiato accanto a me che piangeva e mi chiedeva scusa per avermi messo al mondo… Che cosa vuoi rispondere a un padre che ti dice una cosa del genere?
È un libro questo che ci fa capire com’era l’Italia di quegli anni, senza mai indorare la pillola, perché non c’è niente di dolce in questo racconto, non si può addolcire la tragedia. Non si può non star male quando delle persone vengono respinte alla frontiera, incarcerate, messe su un carro bestiame e portate a morire.
Non si può non star male quando si legge di una coppia di anziani stanati da un delatore e portati a morire.
E non si può ignorare quello che è successo prima, la progressiva emarginazione di tantissimi italiani, tagliati fuori dalla società solo per la colpa di esser nati. E poi c’è il dopo. Il dopo, quando la gente preferisce dimenticare, ma come si fa? Come si può ignorare l’orrore?
Liliana Segre non ha raccontato subito quanto accaduto ad Auschwitz, ha avuto bisogno di tanti anni per farlo, perché nel dopoguerra nessuno voleva ascoltare, sapere, quanto accaduto agli ebrei, perché si preferiva ignorare.
Mi è rimasta dentro una parte del racconto sul ritorno di Liliana, quando ritrova la nonna materna che si preoccupa solo che lei sia ancora vergine. Ecco. Quella parte mi ha davvero scosso.
Mia nonna, appena mi vide, il giorno stesso in cui tornai, mi chiese se ero ancora vergine. Mi offesi a morte e – per quanto l’amassi – non glielo perdonai mai. Avevo subito mille violenze, psicologiche e fisiche – le botte, il freddo, la fame -, e sapere che la donna che avevo sempre considerato un’ispirazione aveva come unica preoccupazione la mia verginità mi deluse profondamente.
E allora alla fine di tutto, facciamo tesoro delle testimonianze, leggiamo libri che raccontino le storie vere e poi non dimentichiamo, parliamo, tramandiamo le parole di quei sopravvissuti che hanno perso tutto e hanno avuto la forza di raccontare.