[Recensione] Dai tuoi occhi solamente di Francesca Diotallevi

Buongiorno Lettori!

Finalmente è giovedì! Lo dico con la speranza di arrivare presto al weekend e riposare, scaricando la stanchezza delle ultime due settimane e di un sabato e domenica non proprio rilassanti. Questi giorni sto riuscendo a leggere molto (oltre a giocare sul tappeto puzzle con Giulia, senza scarpe ovviamente!) e oggi vi parlerò di un libro che mi ha davvero confuso. Il motivo? Come spesso accade con molti libri, si scontrano contro il mio più grande problema: è difficile farmi emozionare.
Oggi vi parlerò di Dai tuoi occhi solamente di Francesca Diotallevi.

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Francesca Diotallevi
Neri Pozza
Prezzo: 16.50 €
eBook: 9.99 €

Trama: New York, 1954. Una giovane donna accetta un incarico come bambinaia presso una famiglia di Southampton. Il suo nome è Vivian Maier, le sue origini sono, per metà, francesi e le sue stranezze saltano immediatamente all’occhio dei padroni di casa: Vivian chiede una robusta serratura per la propria stanza, si fa consegnare dei misteriosi scatoloni e non esce mai senza l’inseparabile macchina fotografica Rolleiflex appesa al collo.
I bambini la trovano simpatica e stravagante, e Vivian ricambia il loro affetto portandoli in giro con sé per la città, mentre fotografa tutto quello che le sembra degno di essere conservato su pellicola: uomini riversi a terra, anziani che dormono sull’autobus, mendicanti, persone di colore ma anche, e soprattutto, bambini. Vivian sembra avere una particolare attenzione per tutti coloro che stanno ai margini, i diversi, i dimenticati, gli indifesi. Attraverso la fotografia, infatti, prova a esorcizzare e ricomporre un’infanzia segnata da numerosi traumi: la separazione dei genitori; gli anni trascorsi in Francia, sulle Alpi provenzali, con la madre Marie, una creatura piena di rabbia e incapace di gesti d’amore; il ritorno a New York e i rapporti tesi con il fratello Karl; le violenze, gli abbandoni e il progressivo chiudersi in se stessa, fino a trovare, nella fotografia, l’unico mezzo con cui esprimere la propria voce, attraverso cui gridare un dolore rimasto muto troppo a lungo.

Divisore Scheggia

Le recensioni a volte sono un gran bel problema: quando vengono scritte e quando vengono lette.
La storia è quella di Vivian Maier, fotografa realmente esistita e che ha sempre vissuto ai margini, senza farsi conoscere per la sua arte, lavorando come tata in diverse famiglie.
La storia che ci narra la Diotallevi è un’opera di finzione, ma ha comunque fatto delle grandi ricerche, così come ci racconta nelle Note dell’autrice a fine libro. Con poche informazioni a sua disposizione, ha cercato di raccontare un possibile spaccato di vita della Maier, portandoci spesso indietro nel tempo, a partire dalla sua infanzia.

È una storia un po’ crudele quella che ci viene raccontata, ancor di più pensando a quante cose possano essere reali: crudeltà da parte di un genitore, maltrattamenti, solitudine, diffidenza, distacco. Questi sono solo alcuni degli stadi e sentimenti che la Maier vive, lottando continuamente con la sua immagine, sentendosi vuota, infetta dal suo stesso sangue, quello della madre che ha destabilizzato la sua infanzia e la sua adolescenza.

Iniziando a fare la tata dai Warren, Vivian siVivian Maier, Photograph, New York 1954 ritrova faccia a faccia con una famiglia a prima vista perfetta, uno stereotipo che rappresenta quella classica degli anni ’50, eppure appesa al filo dell’apparenza: Frank è uno scrittore e soffre, diviso tra ciò che realmente vorrebbe scrivere e quello che invece vogliono i suoi lettori, Celia è una madre quasi per obbligo, bloccata in un’esistenza che le ha dato ben tre figli, una appena nata. Arthur e Grace sono i bambini di cui si occupa, spesso ingenui com’è giusto che sia alla loro età, incantati da qualsiasi cosa sfugga dall’ordinario, come una macchina fotografica.

Il tema dell’arte è centrale, emergendo in ogni scatto di Vivian, che non riconosce tale importanza alle sue foto, tanto da non svilupparle mai.
I rapporti tra le persone sono spesso artificiosi, nascondono i veri pensieri e le reali intenzioni, ma l’autrice ci porta a scoprire un secondo mondo, quello degli occhi di Vivian che scatta con la sua Rolleiflex e cattura istanti sconosciuti agli stessi proprietari.

Vivian bramava le storie, voleva possederle, stringerle tra le mani, custodirle. Le storie la ossessionavano, le facevano compagnia, davano un senso alla sua solitudine. Non ne aveva mai abbastanza.

Un romanzo di poche pagine, circa 200, che non vuole essere una biografia, ma una vera e propria storia.
È interessante il rapporto che si crea tra Vivian e i bambini, così come lo scambio continuo tra lei e Frank, sofferente per la sua stessa arte e che cerca di emergere in un mare di bestsellers tutti uguali.
Si scava nella vita di Vivian e si scoprono un insieme di segreti e di rapporti famigliari turbati, una quotidianità messa sempre a repentaglio dai continui spostamenti eppure, io – leggendo – non ho avvertito l’inquietudine, la solitudine e tutti quei sentimenti ed emozioni che venivano raccontati (e questo è un problema mio, perché altre persone hanno sofferto per le sensazioni provate durante la lettura). Era come se si fosse creata una barriera tra me e il libro, complice anche lo stile che non ha fatto breccia nel mio cuore, rallentando in alcuni punti la lettura.
Un’opinione strettamente personale, perché le emozioni funzionano così, ma a me è mancato il coinvolgimento totale, quella voglia matta e disperata di saperne di più, totalmente a digiuno sulla storia di questa donna.

Eppure si respira un’aria di pura beatitudine quando Vivian fa ciò che le riesce meglio: scatta una foto.
Non è un semplice click, ma è un insieme di passaggi e movimenti che la portano a guardare dentro un semplice strumento per catturare un istante, un attimo, prima che passi a quello successivo.
Sicuramente emerge il tormento di questa donna e il suo vivere a metà, condannata a una vita di ricordi dannosi per la sua stessa libertà, ma è indubbio il fascino che si avverte quando afferra la sua macchina fotografica e apre uno spiraglio, mostrandosi per quello che è: un’artista.

Sicuramente un libro un po’ particolare, con un grande viaggio interiore. Gli amanti della fotografia sapranno apprezzarlo ancora di più.
Io, per quel che vale, non so quanto a Vivian sarebbe piaciuta la sua notorietà; credo avrebbe apprezzato continuare a rimanere nel silenzio, ma a volte l’arte fa quel che vuole, trova la luce e nessuno può fermare un’esplosione di questo tipo.

Scheggia

Scheggia

Sono Scheggia ma in realtà sono Deborah e ho una passione sfrenata per la lettura. Entro in libreria ogni volta che ne ho l'occasione, passo ore e ore a guardare i libri, cerco le novità ma anche quelle che non lo sono più. Sono una di quelle lettrici che invadono casa di libri, ne compro in continuazione anche se ho già altre letture prese in precedenza. Amo il mondo dei libri e dell'editoria ed è per questo che la mia più grande aspirazione è entrare in una casa editrice e lavorarci. Io continuo a sperare!

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