Buongiorno Lettori!
È sabato mattina e questo fine settimana inizia con dei cereali privi di gusto (e ho ancora un’altra scatola chiusa, tutta colpa dei punti fragola e dei minions) e un caffellatte con tanto caffè e poco latte (o un caffè tanto macchiato, dipende dai punti di vista).
La verità è che avrei proprio bisogno di qualcosa di dolce per parlarvi di un libro che invece non mi ha convinto, che ho letto solo perché “imposto” nella challenge che seguo da quasi un anno (quella delle Ciambelle). Oggi infatti vi parlerò di Il primo giorno della mia vita di Paolo Genovese, lo stesso Genovese regista di Tutta colpa di Freud e Perfetti Sconosciuti, film che ho adorato.
Il primo giorno della mia vita
Paolo Genovese
Einaudi
Prezzo: 18.00 €
eBook: 9.99 €
Trama: Emily, ex ginnasta olimpica, Aretha, poliziotta dal carattere forte, e Daniel, piccolo divo della pubblicità, hanno ognuno un motivo preciso per essere disperati. Napoleon, un professionista di successo, no; eppure, fra tutti, è il più determinato a farla finita. Un attimo prima che compiano il gesto irreparabile uno sconosciuto li persuade a stringere un patto: mostrerà loro cosa accadrà quando non ci saranno più, cosa lasciano, cosa si perdono, quale sarà la reazione di amici e parenti. Per una settimana i quattro avranno il privilegio di osservare sé stessi dal di fuori e l’occasione di riscoprire ciò che di più prezioso hanno dentro; affronteranno avventure ai confini della realtà, diventeranno un gruppo unito e vedranno realizzati desideri cui ormai avevano rinunciato, dopodiché saranno riportati indietro. A quel punto dovranno prendere una decisione. E per qualcuno l’ultimo giorno della vita potrebbe trasformarsi nel primo di una vita nuova.
Voglio partire con una piccola premessa, non obbligatoria ma che ci tengo a fare: ho letto questo libro perché era nel gruppo di obiettivi della challenge altrimenti probabilmente non lo avrei letto. Perché? Perché già dalla trama mi sono resa conto che non rientrava nei miei gusti, tuttavia ho iniziato la lettura speranzosa, in qualche modo fiduciosa verso questo titolo.
Fiducia mal riposta? Ni.
La trama ci presenta una situazione molto delicata: davanti all’idea del suicidio, un uomo misterioso convince quattro persone a fare un patto, per tentare in qualche modo di convincerli a non compiere quel gesto senza ritorno. Aretha, Daniel, Emily, ma soprattutto Napoleon, un motivatore di successo.
I personaggi scelti da Genovese sono del tutto diversi tra loro: Daniel è un bambino famoso grazie a una pubblicità, Aretha è una poliziotta con un grande dolore che le grava sul cuore, Emily è un’ex ginnasta che vive sulla sedia a rotelle e Napoleon, che sembra avere tutto, e invece è privo di quel qualcosa che gli permetterebbe di vivere con gioia ogni suo momento.
Nei giorni che seguono il patto con l’uomo sconosciuto, i quattro vedranno non solo cosa perderanno compiendo l’estremo gesto, ma soprattutto l’impatto che avrà sulla vita delle persone che vivono con loro la quotidianità.
Sappiamo che moriremo, ma ignoriamo il momento. Questo ci dà l’illusione di essere immortali.
Paolo Genovese decide di dedicare un capitolo a ogni giorno che viene regalato ai quattro protagonisti, parlandoci da narratore esterno, raccontando la storia presente e passata di coloro che abitano le pagine del libro. Si sofferma su tutti, osserva insieme al lettore e riporta i fatti, impegnandosi affinché nulla di questa strana e surreale avventura vada perso.
In ogni capitolo il focus si sposta di volta in volta da un personaggio all’altro e così scopriamo, per ognuno di loro, cosa li ha spinti verso quel gesto di non ritorno e soprattutto comprendiamo quanto un cambiamento repentino della vita possa agire in modo imprevedibile sulla propria psiche. Dei quattro, è sicuramente Aretha la persona che mi ha più coinvolta, con la sua storia che cambia da un giorno all’altro, in una frazione di minuto, ma soprattutto colpisce per la triste verità: non avrebbe potuto fare nulla per cambiare quel momento che crea un solco profondo tra il prima e il dopo.
Nonostante si affronti un tema pesante come il suicidio, Genovese ha creato una storia che nella sua irrealtà fa riflettere, creando questo limbo tra la vita e la morte, dando una seconda possibilità a quattro anime desiderose di farla finita.
In un contesto fragile riesce anche a creare siparietti divertenti, come quelli tra Napoleon e l’uomo misterioso, soprattutto per il cambio di prospettiva che si ha da subito: Napoleon passa da motivatore di professione, a colui che deve essere convinto da qualcun altro a cambiare la vita, passando il testimone a questa figura anonima, che tutto sa e tutto tace.
così è la morte, che poi a pensarci bene è solo un attimo, un momento lungo pressappoco un secondo, che però dura un’eternità.
E allora cosa c’è che non va? Il romanzo è scritto bene, è scorrevole, non appesantisce e tratta un tema delicato regalando comunque sorrisi. Fa riflettere, fa capire che anche nei momenti più bui, c’è sempre una piccola luce di speranza. È un romanzo che a conti fatti avrebbe tutte le carte in regola per essere perfetto, eppure ( e lo dico, qui entriamo nella sfera puramente soggettiva) non ho avuto alcun coinvolgimento emotivo. Zero assoluto.
Faccio i conti con il mio cuoricino di pietra tutti i giorni, ormai alle frasi “è anaffettiva” “non abbraccia mai” (fosse un obbligo), “è insensibile” resto davvero impassibile, perché preferisco mostrarmi per come sono, piuttosto che fingere baci e abbracci per poi sbuffare appena metto nuovamente un po’ di distanza.
Questo per dire che alla fine di questo romanzo, quando ho girato l’ultima pagina sul mio iPad, ho pensato “vabbè“. La storia non è molto originale, ma ormai non è neanche quello il problema; il punto è che dall’inizio alla fine mi aspettavo qualcosa e puntualmente succedeva quel che pensavo, arrivando a un finale che almeno per me è stato decisamente scontato.
Ho letto altre recensioni di questo libro e per un attimo ho pensato “Com’è possibile? Perché io non ho avuto le stesse sensazioni, le stesse emozioni?”
La verità è che le emozioni sono davvero soggettive, quindi il non aver avuto alcun tipo di trasporto verso i personaggi (l’ho detto, si salva un po’ Aretha) mi ha portato a chiudere il libro e a pensare che vabbè si, bella storia ma andiamo avanti.
Quello che posso dire è che, durante tutta la lettura, ho immaginato il film di questo libro e leggendo qualche notizia sul web, ho scoperto che è già in fase di creazione e si ha già qualche notizia. Quale? Ad esempio sarà girato a New York (luogo d’ambientazione del libro) e avrà attori americani. Sicuramente verrà fuori un bel film!
E alla fine eccoci qui.
Posso consigliarvi questo libro? Non lo so. Posso però consigliarvi di leggere le recensioni di Due Lettrici quasi perfette e La Spacciatrice di libri, perché hanno apprezzato questa storia molto più di me e potranno darvi un feedback decisamente positivo su tutta quella parte più emotiva che non ha coinvolto me.
Qualcuno di voi l’ha già letto?
Amen! Non penso tu sia anaffettiva, ma probabilmente analitica e dotata di buon spirito critico. Ho appena visto il film tratto da questo libro e ho avuto la tua stessa sensazione: non mi ha dato niente. Semplicemente la trama è banale e la narrazione cade spesso nel sentimentalismo o nel moralismo più antipatico. La verità è che non è facile trattare temi così importanti come la vita, la morte, il suicidio, la depressione senza rischiare di dire qualcosa di scontato. Leggendo in giro però, trovo solo recensioni sensazionalistiche e mi ero stupita della cosa. Per fortuna c’è qualcuno che la pensa diversamente.
Effettivamente è difficile parlare di certi temi e si rischia appunto di cadere nel banale. Devo dire che a distanza di anni non ricordo molto di questo libro, a conferma delle emozioni mancate durante la lettura.