Buongiorno Lettori,
oggi vi parlerò di un libro un po’ pesante per il tema trattato, ma scritto in un modo così piacevole da poter alleggerire in qualche modo la narrazione. Per la giornata della Memoria ho deciso di comprare un libro nuovo che raccontasse, anche in modo romanzato, del dramma delle deportazioni e lo sterminio di milioni di esseri umani nel periodo nazista.
Dopo aver selezionato alcuni titoli, ho deciso di leggere La ragazza col cappotto rosso di Nicoletta Sipos, perché sapevo di trovare una confort zone per la narrazione su due piani temporali e perché avevo bisogno di alleggerire il tutto con un po’ di amore.
La ragazza col cappotto rosso
Nicoletta Sipos
Piemme
Prezzo: 18.00€
eBook: 9.99€
Trama: Nives Schwartz non ha mai pensato che nella vita di sua madre Sara si celassero segreti di cui lei non sapeva nulla. Dopo la morte della donna, però, costretta a superare il dolore in fretta per occuparsi, sola, di tutte le incombenze che spettano a una figlia, Nives trova, dimenticata, una scatola di latta. Una vecchia scatola per i biscotti che stride con l’ordine maniacale di sua madre. In essa, una vecchia fotografia che ritrae due giovani sconosciuti, qualche biglietto e una lettera. Violare l’intimità di Sara non è nelle sue intenzioni, ma quelle pagine sembrano chiamarla e così, come per caso, Nives entra in un mondo di segreti e verità taciute per più di mezzo secolo, di cui non sospettava l’esistenza. Una donna di nome Bekka Kis aveva scritto, nel 1965, una lunga lettera a sua madre, confidandole le proprie paure, lo strazio mai dimenticato di essere sopravvissuta alla Shoah, di aver perduto tutto ciò che amava. E forse di aver causato la morte di tanti. Da quel momento, per Nives inizia un’indagine per ritrovare Bekka Kis, una ricerca che è anche uno scavo nei segreti più intimi della sua famiglia, un dissotterramento di verità incomprensibili per chi non ha vissuto quel mondo.
Sarà un viaggio nel cuore più fragile e dilaniato della Seconda guerra mondiale, un disvelamento di quel senso di colpa che solo i salvati possono spiegare. Ma sarà anche la storia di un amore più forte della guerra, della separazione. Più forte della morte.
La nostra serenità aveva i giorni contati. I piccoli riti domestici che ci avevano dato conforto e serenità sarebbero stati spazzati via all’improvviso, troppo rapidamente.
Nives ha da poco perso sua madre Sara quando si trova una strana lettera tra le mani; intenzionata a scoprirne di più, si ritrova a parlare con Bekka, la mittente, una signora ormai anziana, sopravvissuta alla Shoah.
Nicoletta Sipos decide di raccontare la vicenda degli ebrei in Ungheria, spiegando con la voce di Bekka la difficile esistenza con l’arrivo dei tedeschi, delle leggi razziali e del dramma vissuto dalla protagonista, deportata a Oradea, un campo di passaggio, ultima tappa prima di giungere ad Auschwitz.
Questo non è il solito libro che racconta la vita nei campi, ma si sofferma tantissimo su quanto c’è stato prima e dopo; nella voce di Bekka c’è la vitalità del suo essere una donna selvaggia in tempi bui, ma c’è anche la difficoltà di sopravvivere ogni giorno con più restrizioni.
L’amore è lo spirito guida di Bekka, infatti racconta a Nives la sua storia d’amore, le sue paure e le sue speranze, spazzate via da una guerra con un nemico già prefissato: gli ebrei.
Avvolta nel suo cappotto rosso, che diventa il suo talismano, deturpato dalla stella gialla, giorno dopo giorno Bekka si lascia andare ai ricordi, li condivide e fa conoscere anche al lettore il suo dramma.
Alla storia di Bekka, l’autrice decide di aggiungere altre testimonianze, tramite i ricordi di chi interagisce con Nives, tuttavia la potenza e l’ansia che avvolgono questi momenti, mettono in secondo piano e tendono a far scomparire il presente, lasciando l’interazione tra le due donne solo come un sipario per riprendere fiato dall’orrore vissuto in passato.
Mi aspettavo di scoprire qualcosa su Sara, sul suo passato e sul suo vivere durante la guerra, tuttavia la storia è dedicata interamente a Bekka tanto da farci dimenticare tutto il resto.
È comunque un libro che scuote e fa riflettere, perché ci racconta dell’antisemitismo in una regione che già covava sentimenti negativi, che ci conviveva quasi con forza.
Lo stile della Sipos mi è piaciuto molto; lei è diretta e non si perde in giri inutili, anche se avrei apprezzato un focus maggiore su Sara e qualche attenzione in più al presente.
La storia scorre, si legge con piacere anche nei momenti più bui. Ho apprezzato il voler raccontare un po’ tutto, non solo il momento al campo, anzi mi è piaciuto anche l’accenno allo stalinismo e alle difficoltà dei sopravvissuti durante un periodo di ricostruzione. Forse avrei anche preferito qualcosa in più, anche per rispetto a quei personaggi che vengono un po’ lasciati da parte.
I personaggi sono raccontati da Bekka, quindi ogni descrizione è modellata dalla percezione della narratrice, tuttavia nel complesso sono ben caratterizzati e lasciano l’amaro in bocca in diverse circostanze. Ci si affeziona, è inevitabile.
Un libro che nel complesso ho apprezzato e che ha scricchiolato in diversi punti. Mi è piaciuto tantissimo il modo in cui ha affrontato la narrazione storica, la descrizione degli eventi, la clandestinità, la cattiveria umana. Alcuni episodi, che non vi posso raccontare, mi hanno davvero scossa, perché la Sipos ci racconta di quanto le persone possano essere cattive, quanto l’anima possa vendersi al carnefice, contando in monete il valore delle vite umane.
Sicuramente un libro che potrebbe piacere e che vi consiglio di leggere.
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