Buongiorno Lettori!
Oggi vi parlo di un libro uscito da poco per Feltrinelli e che mi ha conquistato subito dal titolo e mi ha fatto ricordare i tempi dell’università. Ne parlo come se fossero passati decenni e invece due anni fa, in questo periodo, scrivevo la tesi, tra lacrime, stress, gravidanza, visite e viaggi continui per andare al ricevimento dalla professoressa.
Perché mi ha ricordato l’università? Perché Gian Arturo Ferrari, autore di Ragazzo Italiano, è anche autore di Libro (Bollati Boringhieri), uno dei tre testi studiati per l’esame di Editoria Libraria alla Magistrale. Insomma, il ricordo è d’obbligo!
Ragazzo Italiano è il suo primo romanzo e devo dirvi la verità, sono assolutamente soddisfatta di questa lettura e ringrazio Feltrinelli per la copia fornita.
Ragazzo Italiano
Gian Arturo Ferrari
Feltrinelli
Prezzo: 18.00 €
eBook: 9.99 €
Trama: La vita di Ninni, figlio del dopoguerra, attraversa le durezze da prima rivoluzione industriale della provincia lombarda, il tramonto della civiltà rurale emiliana, l’esplosione di vita della Milano riformista. E insieme Ninni impara a conoscere le insidie degli affetti, la sofferenza, persino il dolore che si cela anche nei legami più prossimi. Da ragazzino, grazie alla nonna, scopre di poter fare leva sull’immenso continente di esperienze e di emozioni che i libri gli spalancano di fronte agli occhi. Divenuto consapevole di sé e della sua faticosa autonomia, il ragazzo si scava, all’insegna della curiosità e della volontà di sapere, quello che sarà il proprio posto nel mondo.
Ragazzo italiano di Gian Arturo Ferrari è un romanzo ambientato nel secondo dopoguerra con protagonista Ninni, un bambino nato durante l’ultimo anno di conflitto, che si divide tra la sua vita con i genitori a Zanegrate e la vita a Querciano, nella grande casa della nonna.
Narrando la vita di questo bambino, l’autore ci racconta un paese che deve rialzarsi dalla guerra, eppure con gli occhi e le orecchie di un innocente, si assiste al cambiamento: i mezzi pubblici che riprendono a funzionare, il lavoro che ricomincia, la corsa per accaparrarsi il cibo a prezzi buoni, la mancanza di soldi e di certezze, eppure un elemento che mi è rimasto impresso è il rapporto tra le persone. Nel dopoguerra ci sono diverse situazioni politiche: c’è la DC, i socialisti, i comunisti e sotto sotto ci sono anche i fascisti, che si nascondono o celano le idee avute durante il ventennio. Si tace su tutto, si sa ma non si parla, come se la guerra non ci fosse mai stata.
E la conversazione rimase sul tema della guerra, dove tutti avevano qualcosa da dire. Ma con cautela, tenendosi sulle generali. Compatimento e condivisione delle sofferenze passate, ma senza troppi particolari. Ci voleva poco a toccare tasti delicati, a ferire. O a essere feriti. Perché non si poteva mai dire. Non si poteva mai sapere chi si aveva davanti. Che cosa aveva fatto, che cosa aveva visto. Da quale parte stava.
In questo libro Ninni ci viene raccontato in tre fasi della sua vita: bambino, ragazzino, ragazzo.
Le prime due parti sono quelle che mostrano l’infanzia in una famiglia come tante, con i suoi morti e sopravvissuti; lui è in continuo conflitto con il padre, anche a causa del tartagliare, la madre è una grande sognatrice e il rapporto più importante lo ha con la nonna, vedova da decenni che vede nel nipote una speranza.
La parola chiave per parlare di questo libro è Cambiamento.
Ninni vive in un periodo di sviluppo, soprattutto quando la famiglia si trasferisce a Milano, nonostante le ristrettezze economiche, continua a studiare, a giocare e leggere; un po’ alla volta appaiono le prime novità, come gli elettrodomestici, simbolo ed emblema del boom economico.
La differenza è palese quando si racconta dei momenti a Querciano dalla nonna, che con il corso degli anni perde il comando un po’ alla volta, fatica a comprendere le necessità di questo cambiamento, i comportamenti anche mutano, eppure vede proprio nel nipote, figlio degli anni del dopoguerra, una grande soddisfazione.
Tra il racconto delle scuole, la crescita attraverso il passaggio delle classi (elementari, medie, ginnasio, liceo), proiettandosi verso l’università, si ha una panoramica dell’Italia che evolve.
Non è solo l’immagine della televisione nei bar e poi nei salotti, ma è soprattutto il cambiamento culturale tra i banchi di scuola.
Cambia l’abbigliamento e anche lo studio, le materie, ma soprattutto emerge la politica, riemerge il concetto di fascismo, si organizzano le manifestazioni.
Sono gli anni ’60 e si avverte, nelle pagine scritte dall’autore, il fermento di quel periodo, l’euforia dei giovani e anche la necessità di identificarsi in qualcosa.
Piero e i suoi compagni erano i figli della guerra, i più figli della guerra di tutti i figli della guerra. Concepiti e nati negli anni più bui, quando tutto sembrava congiurare contro quell’apertura al futuro che ogni nascita rappresenta. Eppure, pensava Piero guardando la sua piccola classe, proprio in quelle notti e in quelle nebbie, in quell’Europa atroce e disperata loro erano venuti al mondo. Figli della guerra, non c’era dubbio. Ma, come nei film inglesi prediletti dalla mamma, anche figli di amori che erano stati grandi, incoercibili.
Ferrari ci parla di un figlio della guerra che tuttavia non ha mai sofferto gli anni vissuti dai genitori; è un ragazzo che, in un clima di frenesia, fatica a trovare un’identità specifica, ma sarà proprio negli anni che riuscirà a tracciare una linea per il futuro.
Questo libro è un lungo percorso di crescita, che va dal mutamento dei rapporti in famiglia, fino al cambiamento dei rapporti in società, la scoperta dell’adolescenza, con le sue passioni e turbamenti.
In certi momenti mi ha ricordato Stoner, per il percorso affrontato da Ninni.
Quello che mi è mancato, soprattutto nella terza parte, è un po’ di dinamismo. Alla fine ho fatto un po’ di fatica perché la crescita inevitabile del protagonista surclassa l’innocenza, la curiosità e l’ingenuità del Ninni bambini che tuttavia era un traino importante nella narrazione.
“Cosa vuol dire ‘babbo’?” diceva la maestra Colombani, ma anche il tabaccaio, la suora della dottrina, la padrona del negozio di giocattoli. “Si dice papà. Ma da dove venite?” La stessa domanda, sempre, appena sentivano che uno non era di lì, con sottintese, ma neanche tanto, le altre: “Che cosa siete venuti a fare qui? Perché siete venuti proprio qui a portarci via la roba nostra? Perché non siete rimasti a casa vostra?”.
Non è un libro che si legge facilmente, né in poche ore, anzi necessita di tempo e concentrazione, ma alla fine si scoprirà di aver imparato tantissime cose sul dopoguerra, sui cambiamenti affrontati dall’Italia e dagli italiani, dell’immigrazione interna e su quel Boom economico che, ancora oggi, viene ricordato con nostalgia.
Sicuramente questo non è un romanzo facile ma sono proprio contenta di averlo letto. Una lettura un po’ impegnativa e particolare, ma ve la consiglio perché secondo me merita tutto il tempo dedicato!
Scheggia
Cartaceo ↓
eBook ↓
Anch’io leggendolo l’ho accostato a Stoner ma non saprei dire perchè,forse lo stesso piacere nella lettura lo dà il ritmo ela grande attenzione nella scelta dei vocaboliE poi ,forse,hanno entrambi qualcosa da dire senza tante uccisioni o colpi di scena….Daniele
Verissimo! Il dire tanto senza esagerazioni è un grande pregio.