Buongiorno Lettori!
In questi giorni sto cercando di capire come organizzare bene il blog per quest’anno. Spero di modificare un po’ la grafica prossimamente, per renderla un po’ più nuova, ma intanto vi beccate questa recensione di un libro che è un vero pugno nello stomaco.
Ho comprato Mi chiamo Bambino di Steve Tasane edito Il castoro all’ultimo Più Libri Più Liberi e mi aveva colpita molto per la copertina, così semplice eppure d’impatto. Leggendo la trama, forse anche per la fretta, avevo pensato fosse un libro sui bambini nei campi di concentramento, ma è stato un errore mio e sono felice di aver sbagliato perché così mi sono ritrovata a leggere qualcosa di attuale e drammatico nella sua innocenza.
Mi chiamo Bambino
Steve Tasane
Il castoro
Prezzo: 12.50€
Trama: I bambini del Campo non hanno il passaporto. Per questo sono bloccati lì. Le Guardie hanno dato loro un nuovo nome: Bambino I, Bambina M, Bambino A, R, O… Sono fermi in un presente immobile, fatto di fango ed espedienti per mangiare. E allora Bambino I decide di raccontare: sa quanto sono importanti le storie se vuoi dimostrare chi sei. E mentre seguiamo giorno dopo giorno i suoi passi, scopriamo che la vita è più tenace di ogni burocrazia. «Chi ha voglia di fare un gioco?», chiede I, e trasforma quel mondo di fango in oro. La storia di Bambino I, soprattutto, è una storia vera.
Qui al Campo chiamiamo il passaporto Foglio della Vita. Perché senza, non hai una vita. Tanto per cominciare, non puoi dimostrare di essere chi dici di essere. Potresti chiamarti in qualsiasi modo. […]
Anche io ho perso il mio Foglio della Vita. Così come la maggior parte dei minori non accompagnati presenti al Campo. Ce l’hanno rubato, o sequestrato, o bombardato, è finito bruciato tra le fiamme, o affondato in mare.
Se ci dovessero chiedere chi siamo, saremmo in grado di rispondere? Con cosa ci potremmo identificare? Con il nostro nome? La nostra famiglia? Le origini? E se tutto questo non bastasse?
Ai bambini del Campo non basta dire chi sono, non basta affermare di avere qualcuno disposto a prendersi cura di loro o ricordare la vita con i genitori. Non basta aver visto le bombe da vicino, i soldati coi fucili e aver attraversato il mare con imbarcazioni d’emergenza. Senza il Foglio della Vita, il loro passaporto, non possono lasciare il Campo e Bambino I ce lo racconta, mentre cerca, con l’ottimismo solito dei piccoli, di giocare e non perdere la sua infanzia.
I bambini del Campo, i minori non accompagnati, devono stare attenti. Non sono al sicuro, come le donne, e non hanno un nome; le Guardie optano per le lettere dell’alfabeto e così Bambino I si ritrova a giocare con M, A, R e O.
Questo è un libro per bambini, ma anche per ragazzi e soprattutto per adulti. In questi Campi di rifugiati c’è la fame, c’è la paura, c’è la prepotenza, eppure i Bambini cercano sempre di giocare, di non cedere alla disperazione, anche se ogni giorno è più difficile ricordare il passato, il volto dei genitori, la propria storia, il proprio nome.
Sono bambini che gioiscono quando trovano dei pupazzi in mezzo al fango, che sanno ridere e ballare sulle note stonate di una melodia improvvisata.
Ed è in questa loro innocenza che si nasconde il dramma di questo libro. Le promesse non mantenute, le baracche che cadono a pezzi, che vengono rimosse, la paura degli sgomberi, il fango sempre sulla pelle, pezzi di pane raccolti nella sporcizia, torsoli di mela recuperati in fondo a una pattumiera.
Scritto con semplicità, pieno di dialoghi, questa storia ci racconta la realtà dei Campi e in diversi momenti rende il tutto ancora più intenso perché si crea un’atmosfera fatta di attese e paure.
Un libro lineare, che non parla del passato o del futuro, ma si limita al presente, lo rende tangibile e scivoloso, così come quel fango che s’insinua ovunque, sporca le scarpe, i vestiti, le briciole di pane.
Un piccolo appunto però voglio farlo sull’edizione: era necessaria cover rigida e sopraccoperta? È un libro per bambini/ragazzi, di circa 150 pagine scritte con un carattere abbastanza grande e allora io credo sia poco maneggevole. Sono dell’idea che in questo caso, una brossura fosse la scelta migliore, ma non sono un editore quindi la mia è un’osservazione da cliente.
Che altro dire su questo libro?
Prima di tutto, Mi chiamo Bambino ha il patrocinio di Save the Children e alla fine ci sono circa due pagine che spiegano la missione di questa Ong riconosciuta dal Ministero degli Affari Esteri.
L’autore ha inoltre dichiarato di aver raccontato una storia vera. Non è la sua storia personale ma i fatti sono accaduti realmente tant’è che i nomi dei bambini sono stati modificati.
Un’altra cosa che voglio dirvi è: fate leggere questo libro nelle scuole. Ha un tema importante, è giusto che ci si confronti con realtà ben diverse dalle nostre e credo che questo libro possa essere un ottimo strumento di conoscenza e dibattito.
Scheggia